domenica 7 novembre 2010

Il Profumo di Patrick Suskind

"Nel diciottesimo secolo visse in Francia un uomo, tra le figure più geniali e scellerate di quell'epoca non povera di geniali e scellerate figure"



Quando Carla Vangelista mi ha consigliato di leggere "Il Profumo" del bavarese Patrick Suskind, ha aggiunto: "divertiti" . Arrivato alla fine, lo posso dire: no, non mi sono divertito. Il Profumo inizia bene: la storia scorre, è, a tratti, "divertente" , sembrerebbe quasi l'inizio di un romanzo inglese ottocentesco. Fino a metà, può essere considerato piacevole. Dopo, no. Dopo, diventa un viaggio tra profumi sconosciuti e con uno scopo difficile da percepire attraverso le pagine di un libro. Un viaggio, francamente stucchevole, nella Francia del diciottesimo secolo, quella prerivoluzione francese. Tuttavia, nel finale si trova qualche piccolissima perla, almeno qualche sprazzo di ottima letteratura (terzultimo capitolo, con le riflessioni di Grenouille sul genere umano e la sua attenzione innata verso le apparenze) : l'ennesima dimostrazione che, comunque vada, un libro (come un film) non può mai essere tempo perso, ci piaccia o no.


Pare che Il Profumo (1985) sia stato un vero e proprio "caso editoriale" . Continuo ad essere sempre più convinto che successo non fa rima con valore letterario.
Patrick Suskind, Il Profumo, 259 pp. , TEA 2009

giovedì 14 ottobre 2010

Luce d'Agosto di William Faulkner


"Seduta sul bordo della strada, guardando il carro che viene su per la salita verso di lei, Lena pensa, 'Arrivata fino a qui dall'Alabama: una bella distanza. Tutto a piedi fin dall'Alabama. Una bella distanza' "



Luce d'Agosto, titolo originale Light in August. Traduzione italiana che non rende giustizia al titolo americano, che significa sia "luce d'agosto" che "alla luce in agosto" . Siamo alle solite, lasciamo perdere.

Light in August (1932) è un libro per cui ho provato un sentimento di amoreodio. Amore perchè è scritto divinamente, in maniera magnetica, una storia animata da personaggi che sono quelli archetipici della provincia americana, descritti da un americano. Odio perchè è comunque un libro faticoso, in alcuni passi anche incomprensibile nel senso più vero del termine (facile perdersi quando Faulkner inizia a impelagarsi nei pensieri contorti dei suoi personaggi) , con una storia - meglio dire "storie" - che potrebbe durare molto meno se solo lui si decidesse ad alzare il passo della narrazione. Ma questa è anche la particolarità di un libro che, alla fine, lascia comunque un ricordo discretamente positivo. In alcuni punti, si rimane senza fiato per quanto alcune affermazioni siano condivisibili.

I dialoghi costituiscono invece un capitolo a parte. Ce ne sono pochi e alcuni sembrano presi da una sceneggiatura di Tarantino: a un occhio disattento, potrebbero sembrare di una banalità sconcertante, in realtà sono il frutto di un genio che in effetti ha voluto svelarsi a pochi in maniera esplicita.

I passaggi più importanti della storia sono raccontati seguendo spesso il punto di vista di un singolo personaggio, sono visti con i suoi occhi, con i suoi pensieri, lasciando il narratore in un angolo, quasi spettatore quanto il lettore. Una tecnica a volte efficace, a volte no.

Light in August racconta l'America del primo dopoguerra ancora divisa sulla questione razziale. Tra ex veterani, aspiranti servitori della patria, neri, bianchi, madri senza marito, sceriffi, reverendi scomunicati, Faulkner (premio Nobel per il 1949) conduce un viaggio nella provincia americana. Può piacere o non piacere, ma, una volta finito, Light in August non sembrerà comunque tempo perso.


William Faulkner, Luce d'Agosto, 425 pp. , Adelphi 2007

giovedì 7 ottobre 2010

Diamond Dogs di Luca Di Fulvio

Aspromonte, 1906-1907

"All'inizio l'avevano guardata crescere in due. La madre e il padrone. L'una con apprensione, l'altro con la sua pigra libidine. Ma prima che diventasse donna, la madre aveva fatto in modo che il padrone non la guardasse più"


Per me, Diamond Dogs è un libro, prima che una canzone. Lo so, dovrebbe essere esattamente il contrario. Ma, musicalmente parlando, sono un divoratore della cosiddetta musica commerciale: hit parade e dintorni, insomma. Quindi, Under Pressure a parte, David Bowie lo conoscevo solo per sentito dire.


Quello che sarebbe dovuto essere il titolo di questo meraviglioso capolavoro, però, prende ovviamente spunto dalla canzone del Duca Bianco, che ho saputo solo dopo essere anche il mito assoluto di Di Fulvio.


Chi sono i Diamond Dogs? Semplice, quella dei Diamond Dogs è una banda. O forse sarebbe meglio dire un'idea di banda, dalla quale dipende tutto il plot del romanzo. Non starò qui a raccontare la trama del libro (se proprio la volete, ve l'andate a cercare, ma consiglio di non leggerla, quella dell'edizione Mondadori spiattella praticamente metà libro, un vero peccato) , come mai lo farò in questo blog. Piuttosto, preferisco darvi qualche dritta su cui riflettere.


Diamond è ambientato prevalentemente a New York ed è l'unico libro che ho letto in cui la città ha lo stesso peso di un vero e proprio personaggio, ma senza risultare in nessuna occasione noiosa o invadente all'interno della trama. Questa è la New York di Once Upon a Time in America, la New York del Lower East Side raccontata in un affresco di forte ascendenza leoniana. Per chi ama questo film, leggere Diamond sarà come fare nuovamente un tuffo in quelle atmosfere. Dal mio punto di vista, in qualche passo c'è pure una punta di Crane e del suo Maggie A Girl of the Street, con i degradati basements di periferia a farla da padroni: ma, su quest'ultima ascendenza, non metto la mano sul fuoco.


Il protagonista: si chiama Christmas, naturale omaggio al Joe Christmas di Light in August, del Nobel americano William Faulkner, tra gli autori preferiti di Luca. E chiudo qui con le corrispondenze letterarie.


Non sono un amante dei polpettoni, anzi: per me, se si superano le 250-300 pagine, in un libro deve succedere qualcosa. Non m'interessano le turbe mentali dei personaggi, o almeno non solo: la storia deve continuare, altrimenti mi annoio. Diamond Dogs è un romanzo, per usare un termine caro a Luca, in cui "l'alchimia" tra l'autore e i personaggi è perfetta: sono in simbiosi straordinaria. Una simbiosi che coinvolge, in maniera splendida, anche chi legge. E' tutto perfetto, storia, ambientazione, stile, tutto. Potrei scrivere ancora per ore, ma mi fermo qui.
Luca Di Fulvio, La Gang dei Sogni, 571 pp. , Mondadori 2008.
Citazioni in esergo:
La responsabilità ha inizio nei sogni - W.B YEATS, Responsibilities
Ragazzina, li chiamano i Diamond Dogs - DAVID BOWIE, Diamond Dogs

Perchè


Beh, intanto mi preme spiegare i perchè di questo blog. O forse sarebbe meglio dire: il perchè.

Il mio perchè ha un nome e un cognome: Luca Di Fulvio. Qualcuno di voi lo conoscerà, qualcun altro no, non importa. Luca è uno scrittore, un grande scrittore. Ed è soprattutto una persona che mi ha conquistato e che merita la mia amicizia. Ma di questo parlerò più in là.

Qui voglio dirvi in breve anche cosa rappresenta per me una persona come lui. Per me rappresenta una possibilità. Io non conoscevo Luca fino a un annetto fa. Nella giungla della cosiddetta "industria culturale" , il suo nome non circola. O almeno, non ai livelli che meriterebbe. L'ho conosciuto grazie alla mia grande amica Carla Vangelista, sua compagna di vita, un'altra che non scrive poi così male. Il loro regalo di Natale è stato un libro, un libro di Luca che dà il titolo a questo blog: Diamond Dogs. Sì, Diamond Dogs, come la canzone di David Bowie, suo cantante preferito. Un titolo cambiato in seguito da Mondadori con La Gang dei Sogni (de gustibus) . Ecco, questo è il punto di svolta, un libro. Un romanzo fantastico, il più bello che abbia mai letto ex aequo con David Copperfield. Un romanzo che, incredibilmente, non è stato in concorso per nessun premio, mai. Per me, un delitto assurdo, incomprensibile.

Luca non ama farsi vedere, di lui circola pochissimo materiale, qualche intervista (anche molto buona) e nulla più. Non si fa coinvolgere in incontri di presentazione, perchè, dice, "sarebbe come se un oste andasse in giro a dire che il suo vino è buono" . Mi ha fatto capire. Mi ha messo in testa che non è necessario essere acclamati per essere grandi. E' per questo che dico che Luca Di Fulvio per me rappresenta una possibilità. La possibilità di esprimerci, la possibilità di essere apprezzati (e di apprezzarsi) anche senza un riscontro patinato. Luca, per me, incarna la passione. La passione per la scrittura, non (o almeno non solo) come mestiere. E allora, ho deciso di parlarvi di lui. E, magari, della letteratura e del cinema che mi piacciono. Tutte le volte che mi va, tutte le volte che potrò. Quando avrò voglia di parlare di qualcosa di vero, magari di poco pubblicizzato, magari migliore di tanta altra roba. Quando avrò voglia di parlare di (e con) passione.